E' grigia, caro amico, qualunque teoria. Verde è l'albero d'oro della vita.

J.W.Goethe, il Faust

giovedì 26 agosto 2010

Cancro allo stomaco e infezione da Helicobacter pylori

Helicobacter pylori è un batterio che può colonizzare la mucosa gastrica dell’uomo causando gastrite, ulcere e in alcuni casi la comparsa del cancro allo stomaco. E’ stato scoperto il meccanismo a seguito del quale H. pylori inattiva una proteina avente la funzione di soppressione della crescita tumorale nelle cellule ospite.

Lo stomaco è una struttura muscolare cava che si localizza fra l’esofago e l’intestino. Ha il compito sia di completare la demolizione dei frammenti di cibo provenienti dalla masticazione che di scindere i legami chimici presenti nelle molecole di cibo, attraverso l'azione di acidi e di enzimi digestivi secreti dalle ghiandole gastriche.
Questa azione degradatrice dello stomaco ha lo scopo di consentire l'assorbimento delle molecole e dei principi nutritivi a livello dell'intestino tenue.

La superficie interna della mucosa gastrica si solleva in grosse pliche che seguono tutta la morfologia interna dell’organo.
Queste pliche permettono sia la dilatazione dell’organo durante i pasti che il fisiologico trasporto dei liquidi lungo la via gastrica principale in direzione dell'intestino.

HELICOBACTER PYLORI
Helicobacter pylori è un batterio spiraliforme, Gram-negativo, che può colonizzare la mucosa gastrica dell’uomo. Più del 50% della popolazione mondiale è portatrice di H. pylori. L’infezione è molto spesso asintomatica ma nel 10-20% dei casi può provocare gastrite e ulcere in particolare a livello del duodeno, il primo tratto dell’intestino.

La gastrite rappresenta un’infiammazione cronica dello stomaco, mentre l’ulcera è una lesione della mucosa, che produce bruciore o dolore intenso, soprattutto a stomaco vuoto. Talvolta l’ulcera può sanguinare ed eventualmente indurre anemia.

A lungo termine, l’infezione da H. pylori si associa ad un aumentato (2-6 volte) rischio di insorgenza di un linfoma MALT, un tumore del tessuto linfoide a livello delle mucose, e soprattutto di sviluppare un carcinoma gastrico.
Il carcinoma gastrico è il secondo cancro più comune nel mondo, in particolare nei paesi quali la Cina o la Colombia dove l’infezione da H. pylori interessa più della metà della popolazione infantile.

Attualmente l’uomo è l’unico serbatoio di infezione noto per questo batterio, le cui modalità più probabili di trasmissione sono quella orale e oro-fecale. Altra possibili via di contagio potrebbe essere quella attraverso il contatto con acque contaminati.

DIAGNOSI E CURA
La procedura di elezione per diagnosticare l’infezione da H. pylori è rappresentata dal prelievo bioptico durante endoscopia digestiva, dall’esame istologico, dal test di idrolisi dell’urea e dalla coltura microbica.
Test meno sensibili sono quelli di tipo sierologico e del respiro.

Una volta individuata la presenza del batterio, si cerca di eradicare l’infezione attraverso l’impiego di una triplice terapia a base di antibiotici e specifici farmaci inibitori della secrezione acida gastrica.

COME SI SVILUPPA IL CANCRO ALLO STOMACO
Sono noti diversi ceppi di H. pylori, alcuni dei quali sono stati completamente sequenziali a livello del loro genoma. Più di 1500 geni sono stati individuati, un terzo dei quali sono considerati alla base dei meccanismi patogenetici di infezione.

La capacità di H. pylori di causare malattia è strettamente legata ad una sua proteina denominata CagA. Questa molecola, altamente virulenta, è infatti in grado di causare infiammazioni locali, stimolando l'anormale crescita e divisione cellulare che può portare poi all’insorgenza del cancro.
Un gruppo di ricercatori ha recentemente caratterizzato il meccanismo specifico di patogenicità mediato dalla proteina CagA. Bersaglio di questa molecola batterica è risultata essere una molecola, sintetizzata nelle cellule gastriche umane, avente fisiologicamente la funzione di soppressione della crescita tumorale.

H. pylori inietta la proteina CagA nelle cellule epiteliali che rivestono lo stomaco. Qui, CagA è in grado di interferire con diversi meccanismi propri delle cellule gastriche, distruggendone alcune importanti funzioni. Tra i targets di CagA vi è RUNX3, una proteina nota essere un importante soppressore del tumore allo stomaco, la cui riduzione è strettamente associata allo sviluppo di questa patologia. La proteina RUNX3 è infatti un fattore di trascrizione, in grado di modulare l’espressione di geni che controllano la crescita e la morte delle cellule.

Per la prima volta è stato identificato un dominio all'interno della sequenza amminoacidica della proteina CagA in grado di legare una regione specifica di RUNX3: a seguito di questa interazione la proteina RUNX3 va incontro a degradazione, con conseguente mancanza del suo ruolo oncosoppressore all’interno della cellula.

Questo studio ha delineato un particolare meccanismo relativo alla genesi del tumore allo stomaco indotto da H. pylori. I ricercatori si propongono nel futuro di sintetizzare nuove molecole in grado di inibire specificatamente l'interazione tra CagA e RUNX3, bloccandone la degradazione e quindi potendo prevenire le gravi complicazioni indotte da H. pylori a livello gastrico.
(da Roberto Insolia - Comunicati-Stampa.net)

giovedì 19 agosto 2010

Il melanoma: 25 anni di strategie per la diagnosi

Da oltre 25 anni le strategie diagnostiche per il melanoma, tumore maligno della pelle che sta diventando sempre più comune nella popolazione, sono in continuo sviluppo, al fine di ottimizzarne i risultati. Diagnosi precoce basata sull’esperienza medica, affiancata ad innovativi approcci digitali, rappresentano la strategia migliore per ridurre la mortalità a causa del melanoma.


Il melanoma è il più aggressivo tumore della pelle, ritenuto fino a pochi anni addietro una neoplasia piuttosto rara ma che ora sta mostrando una costante crescita nei casi identificati ogni anno. Negli Stati Uniti infatti il melanoma presenta un tasso di crescita più elevato di qualunque altro tumore.
Il melanoma colpisce prevalentemente soggetti di età compresa tra i 30 ed i 60 anni, risultando decisamente più frequente nei soggetti di origine europea, con pelle più chiara.

Il melanoma è un tumore maligno che si origina dai melanociti, specifiche cellule della cute deputate alla sintesi di melanina, sostanza che esercita una funzione protettiva dai raggi solari.

RECENTI SCOPERTE
Recentemente sono stati presentati i risultati di uno studio che dimostrano l’efficacia di un anticorpo monoclonale (ipilimumab) nell’attivare il sistema immunitario contro il melanoma. Questo può portare ad un significativo miglioramento nella sopravvivenza dei pazienti in fase avanzata di malattia.

Inoltre, un gruppo di ricercatori californiani è riuscito ad identificare per la prima volta una ristretta ma altamente specifica popolazione di cellule indifferenziate, di tipo staminale, responsabile dello sviluppo del melanoma.

STRATEGIE PER UNA DIAGNOSI PRECOCE
La prognosi del melanoma cutaneo, cioè la velocità di accrescimento della massa tumorale, è strettamente legata allo spessore che esso ha raggiunto nella pelle, al momento della diagnosi e della successiva asportazione. Negli Stati Uniti il melanoma allo stadio invasivo rappresenta il quinto e sesto tipo di tumore più frequentemente diagnosticato rispettivamente nell’uomo e nella donna.

Fare diagnosi precoce per questo tumore significa riuscire ad individuare delle crescite tumorali, a livello della cute, anche con uno spessore inferiore al millimetro. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di melanoma invasivo è aumentata dall’83% dei casi diagnosticati negli anni settanta fino al 93% dei casi identificati agli inizi del 2000.
Dal momento che l’approccio terapeutico primario per la cura del melanoma, cioè la sua rimozione chirurgica, non è sostanzialmente cambiato dal punto di vista tecnico, si ritiene che l’incremento nella sopravvivenza a 5 anni sia dovuto essenzialmente ad una più precoce diagnosi della malattia.

Diagnosi precoce e precisa, con un rapido trattamento chirurgico sono considerati i punti cardine per il successo nella cura del melanoma, come emerge dalla revisione degli approcci diagnostici per questo tumore che verrà pubblicata sulla rivista CA: A Cancer Journal for Clinicians.

Sebbene l’esame istologico, a seguito di biopsia cutanea, rappresenti la tecnica diagnostica più affidabile, fin dall’inizio si è cercato di sviluppare delle strategie non invasive, essendo questo uno dei pochi tumori che si sviluppa al di fuori dell’organismo.
Prima degli anni ottanta, la diagnosi di melanoma si basava sul riscontro macroscopico, e solitamente piuttosto infausto in termini di prognosi, di un sanguinamento della lesione cutanea.
Nel 1985, con l’intento di fare diagnosi più precoce, sono stati dettagliati dei precisi criteri morfologici, denominati con l’acronimo ABCD: Asimmetria; Bordi irregolari; Colore variabile; Diametro >6 mm.
La validità dei criteri ABCD è stata poi testata con successo in programmi di screening a livello della popolazione generale.

Negli anni novanta, la dermoscopia è stata applicata nella pratica diagnostica comune. Questa tecnica, attraverso l’impiego di un complesso di lenti che vengono avvicinate alla pelle, consente degli ingrandimenti fino a 10 volte, arrivando quindi ad analizzare strutture anatomiche al di sotto dell’epidermide fino alle papille del derma.
Nell’ultimo decennio, l’approccio digitale ha implementato la diagnosi dermoscopica nella pratica clinica. Attraverso l’impiego di specifici software di analisi d’immagine, la dermoscopia è stata informatizzata, permettendo anche la comparazione fra immagini diverse di lesioni cutanee, precedentemente depositate in apposite banche dati.
Vi sono inoltre alcuni studi in merito a specifici marcatori molecolari (espressione di RNA messaggeri) la cui presenza o assenza consente di discriminare fra lesioni cutanee benigne e melanomi.

Complessivamente, l’evoluzione tecnico-scientifica negli ultimi 25 anni ha portato ad un aumento nella sensibilità e nella specificità della diagnosi del melanoma. È comunque fondamentale che qualunque strumento tecnico diagnostico sia affiancato dalla conoscenza e dalla esperienza clinica, propria del medico dermatologo, al fine di ottimizzare la diagnosi precoce del melanoma.
(da Roberto Insolia - Comunicati-Stampa.net)

giovedì 12 agosto 2010

Vacanze

Serene vacanze a tutti noi, appassionati della Scienza e della Vita.

giovedì 5 agosto 2010

Sangue artificiale: recenti progressi

La pronta disponibilità di sangue da trasfondere rappresenta uno dei principali problemi che affligge i sistemi sanitari a livello mondiale. Sebbene molto sia stato investito per produrre un sangue artificiale, complessivamente i risultati non sono stati confortanti. Oggi, nuove e incoraggianti notizie arrivano dai fronti di guerra.


Il sangue è un tessuto di natura liquida, facente parte del gruppo dei tessuti di tipo connettivale. Esso è un liquido di colore rosso intenso (se ricco di ossigeno, quando circolante all’interno del sistema arterioso) oppure di colore rosso più scuro (essenzialmente non più ossigenato e circolante nel sistema venoso), costituente circa il 7% del peso corporeo, con una viscosità di circa 4 volte superiore a quella dell'acqua. In un individuo adulto maschio scorrono circa 5 litri di sangue.

Il sangue è composto per circa il 55% da una parte liquida detta plasma, e per il restante 45% da una parte corpuscolata, costituita da specifiche cellule circolanti.
Il plasma, di colore giallo, è composto da acqua (90%) e da molecole proteiche.
Le cellule circolanti del sangue sono rappresentate dagli eritrociti o globuli rossi, dai linfociti, dai granulociti neutrofili, eosinofili e basofili, dai monociti e dalla piastrine.
Il sangue attraverso il sistema circolatorio raggiunge ogni organo e distretto corporeo, cedendo ossigeno e nutrienti alle cellule dell’organismo e raccogliendo i prodotti di scarto derivanti dal metabolismo cellulare.

PERCHE’ CREARE DEL SANGUE ARTIFICIALE?
Uno dei più grossi limiti del sangue naturale è quello della sua non completa compatibilità fra soggetti diversi, aspetto che è riconducibile all’esistenza dei 4 principali gruppi sanguigni nell’uomo.
La possibilità di trasfondere del sangue da un individuo ad un altro è infatti legata alla presenza di particolari molecole, presenti sulla superficie dei globuli rossi, che se non precisamente caratterizzate e selezionate, a seconda della compatibilità di gruppo fra ricevente e donatore, possono portare a reazioni avverse, anche mortali, nel soggetto ricevente.
Il sangue artificiale, appositamente creato, non avrebbe invece alcuna difficoltà di compatibilità con qualunque gruppo sanguigno del ricevente. Potrebbe quindi essere usato immediatamente, addirittura già in ambulanza, nei casi di emergenza.

Oggi, ogni sacca di sangue è sottoposta a rigorosi esami sierologici e molecolari per evidenziare potenziali infezioni a livello del donatore. Tuttavia, una percentuale di rischio rimane ancora tanto che, secondo alcuni dati, l'incidenza di falsi negativi al test per il virus HIV è di uno su 40.000. Inoltre, è importante ricordare come vi possano essere delle infezioni, i cui agenti eziologici non sono ancora noti e quindi non vengono ricercati a livello ematico.
Il sangue artificiale, ottenuto attraverso procedure ben controllate e sterili, annullerebbe i rischi di contrarre qualunque infezione attraverso la trasfusione.

Infine il sangue naturale, sebbene conservato a temperatura controllata, va incontro ad un decadimento delle qualità e delle funzioni a livello delle cellule che lo compongono. Il sangue artificiale potrebbe essere addizionato con opportune sostanze che lo renderebbero più stabile e quindi utilizzabile molto più a lungo.

IL SANGUE ARTIFICIALE OGGI
Attualmente, attraverso sofisticate procedure di prelievo, è possibile isolare specifiche componenti del sangue, con lo scopo di trattarle in vitro, per una successiva reinfusione a fini terapeutici. Tuttavia, sebbene molto sia stato investito in termini di ricerche anche con promesse poi smentite da risultati sperimentali non confortanti, la complessità del tessuto sangue rende ad oggi difficile la sintesi di un sangue artificiale che ne riproduca tutte le caratteristiche cellulari.

Tra le aziende primariamente coinvolte nella sintesi di trasportatori sintetitici dell’ossigeno, detti hemoglobin-based oxygen carriers (HBOC), vi sono la Baxter, la Biopure, la Northfield, ognuna delle quali attraverso trial clinici di fase II e III è riuscita a dimostrare come le rispettive molecole di sintesi (rispettivamente HemAssist, Hemopure, PolyHeme) fossero in grado di legare e poi rilasciare ossigeno, in modo corretto. Tuttavia, si sono sempre registrati degli effetti indesiderati, fra cui la comparsa di ipertensione nei soggetti trasfusi.

Più recentemente, ricercatori statunitensi avevano annunciato di aver creato in vitro delle particelle con le stesse caratteristiche dei globuli rossi. Chiamate red blood cells-mimicking particles, erano infatti molto simili agli eritrociti per forma e taglia. Queste particelle coniugavano la principale capacità del globulo rosso di legare ossigeno con la possibilità di trasportare molecole farmacologiche oppure specifici traccianti di contrasto, con lo scopo di migliorare le procedure diagnostiche per esempio nel caso della risonanza magnetica nucleare.

Nuovo impulso in questo settore viene oggi da un progetto finanziato direttamente dal Pentagono per curare i soldati feriti nelle zone di guerra.
Il programma “blood pharming”, iniziato nel 2008 e portato avanti dal gruppo di ricerca del Pentagono, rientra infatti nella complessa strategia di ricerche sperimentali volte alla messa a punto di efficaci terapie di primo soccorso, nel contesto di zone ad alto rischio. Uno dei principali problemi degli scenari di guerra è inoltre rappresentato dal fatto che le aree dei conflitti sono spesso localizzate in zone impervie, difficili da raggiungere.

Per quanto riguarda la realtà statunitense, la maggioranza delle donazioni di sangue proviene dallo stesso territorio degli Stati Uniti. Quindi, in alcuni casi più di 20 giorni possono passare prima che il sangue arrivi al fronte di guerra. Il rischio che il sangue si deteriori, perdendo le sue capacità terapeutiche, risulta perciò alto.

L'industria statunitense Arteriocyte, con il finanziamento di 2 milioni di dollari avuto per il progetto, è riuscita ad ottenere il tessuto sanguigno partendo dalle stesse cellule staminali ematopoietiche che lo producono fisiologicamente. Queste cellule ematopoietiche, prelevate dal cordone ombelicale, vengono incubate in una macchina che simula il comportamento del midollo osseo umano.
A partire da un campione di sangue cordonale è possibile ottenere 20 sacche di sangue, con un costo di circa 5.000 dollari a sacca.

Arteriocyte ha sottoposto i primi campioni di sangue 0 negativo all'autorità di controllo americana Food and Drug Administration, per potere avviare la prima sperimentazione del prodotto sull'uomo. Si ritiene che l’approvazione di questo processo, la sua validazione in termini di sicurezza e la relativa realizzazione su scala industriale potrebbero ridurre i costi a circa 1.000 dollari a sacca.