E' grigia, caro amico, qualunque teoria. Verde è l'albero d'oro della vita.

J.W.Goethe, il Faust

sabato 4 settembre 2010

La Scienza siamo anche noi

Dopo un’attenta valutazione, ho deciso di spostare il blog su questa nuova piattaforma, con l’idea di ottimizzarne la lettura e la distribuzione delle info.
Mi raccomando, continuate a leggere La Scienza siamo anche noi.
Grazie

giovedì 2 settembre 2010

Tumore al seno ed espressione genica

Il tumore al seno è attualmente il tumore più frequente nel sesso femminile. Attraverso sofisticati studi di espressione, sono stati individuati dodici geni che si associano alle forme più aggressive di questa patologia. Si aprono possibili scenari per la sintesi di nuovi farmaci anti-tumorali e per l’impiego di efficaci marcatori prognostici del tumore al seno.


Il seno è una struttura anatomica localizzata tra la pelle e la parete del torace: è costituito da un insieme di ghiandole, tessuto connettivo ed adiposo. L’insieme delle strutture ghiandolari prende il nome di lobulo, la cui aggregazione multipla forma un lobo. Nel seno vi sono solitamente da 15 a 20 lobi.

Dal punto di vista embriologico, il seno in entrambi i sessi origina dal medesimo tipo di tessuto. Durante la pubertà nella donna, contrariamente all’uomo, l’azione degli ormoni estrogeni porta ad uno specifico sviluppo della ghiandola mammaria.
La ghiandola mammaria nella donna è deputata alla produzione del latte. I dotti collegano la massa ghiandolare, localizzata all’interno della mammella, con l’esterno a livello del capezzolo, consentendo il fluire del latte materno.

TUMORE AL SENO
Il tumore al seno colpisce 1 donna su 10.
Attualmente è il tumore più frequente nel sesso femminile, seguito dal tumore del colon-retto, del polmone, dello stomaco e del corpo dell’utero.

Esso è dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che vanno incontro ad una trasformazione maligna. Queste cellule maligne possono produrre delle metastasi, cioè possono staccarsi dal tessuto di origine invadendo distretti anatomici circostanti (linfonodi ascellari) e, successivamente, anche altri organi.

Il cancro al seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata precocemente.
Solitamente, il tumore al seno nelle fase iniziali non causa alcun dolore. In questo senso, l’autopalpazione è una tecnica che può consentire alla donna di individuare precocemente piccoli noduli, palpabili.
Attualmente la mammografia rappresenta il metodo più efficace per fare diagnosi precoce. Le linee guida suggeriscono l’esame mammografico ogni 2 anni dopo i 50 anni di età, tenendo comunque in considerazione la storia personale e familiare di ogni donna.
In Italia vi sono programmi di screening mammografico, in corso o in via di attuazione in gran parte delle Regioni, che prevedono l’esecuzione di una mammografia ogni due anni nelle donne tra i 50 e i 69 anni.

LA VARIABILITA’ DEL GENOMA UMANO
Attraverso il completamento della prima sequenza del genoma di Homo sapiens, realizzata nel 2001, ed i successivi studi di caratterizzazione funzionale e molecolare delle sue 3 miliardi circa di basi del DNA, è stato possibile delineare l’architettura generale del nostro genoma.
La comparazione dei genomi di individui diversi ha poi dimostrato come essi siano fondamentalmente identici se non per una piccola porzione, pari a circa lo 0,1% della loro lunghezza totale.

In questo 0,1% risiede la variabilità genetica della specie umana.
Tale variabilità comprende sia rare variazioni genetiche (mutazioni), potenzialmente responsabili di malattie ereditarie, che quelle varianti più frequenti nelle popolazioni (polimorfismi), quindi verosimilmente benigne.
Le varianti comuni all’interno del genoma umano possono interessare sia la singola base del DNA (sostituzioni di base, dette single nucleotide polymorphisms; SNPs), che regioni più ampie (ripetizioni oppure rimozioni di un numero relativamente elevato di basi, dette copy number variations; CNVs).

A fronte della benignità attribuita a SNPs e CNVs, essendo queste variazioni genetiche frequenti nelle popolazioni, vi sono evidenze scientifiche di come, in specifici contesti molecolari e cellulari, anche queste varianti possano essere alla base di meccanismi patogenetici.
In particolare, nel caso la ripetizione o rimozione di una lunga sequenza di DNA (CNV) interessi una regione codificante (gene), deputata per esempio al controllo della crescita cellulare, questo può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di cellule cancerogene.

ESPRESSIONE GENICA ALLA BASE DEL TUMORE AL SENO
Nel caso la sequenza di un gene sia stata rimossa oppure risulti replicata più volte all’interno del genoma, questo potrebbe alterare i livelli di espressione del gene (quantità di RNA messaggero). Potrebbe anche avere effetti sul prodotto del gene stesso (concentrazione o funzionalità della proteina), all’interno della cellula. E’ noto come questi processi possano risultare alterati nelle cellule tumorali.

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Goteborg ha studiato un centinaio di donne con tumore al seno, focalizzandosi sulla spiccata variabilità, in termini di DNA e di proprietà biologiche, tipiche delle cellule del carcinoma mammario.
I ricercatori, attraverso l’impiego di tecniche molto avanzate, hanno misurato la quantità di DNA e di RNA messaggero in ogni tessuto tumorale. Complessivamente 15 regioni genomiche diverse hanno mostrato dei livelli alterati, in termini di espressione genica o numero di copie di DNA, in almeno un quarto dei campioni tumorali analizzati.

In particolare, 12 geni sono stati associati alle forme più aggressive di tumore al seno.
Tre geni infatti erano maggiormente espressi in quelle donne che risultano decedute entro 8 anni dalla diagnosi, rispetto alle pazienti con una sopravvivenza maggiore. Altri 9 geni invece sono risultati meno espressi nelle forme tumorali con prognosi più infausta.

Questi dati suggeriscono come i prodotti di questi geni possano avere un effetto sulla progressione del tumore, in termini di crescita e capacità di metastasi delle cellule cancerogene. Il testare ripetutamente l’espressione di questi geni, in corso di terapia anti-tumorale, potrebbe consentire il monitoraggio, a livello molecolare, dell’efficacia della terapia farmacologica in atto. La precisa caratterizzazione dei prodotti proteici di questi geni potrebbe inoltre rappresentare il target per nuove terapie farmacologiche.

Complessivamente, la conferma di questi dati potrebbe suggerire il dosaggio precoce dell’espressione di questi geni, come marcatore prognostico nello sviluppo del tumore al seno.
E’ auspicabile nel futuro, attraverso l’esecuzione di un prelievo ematico contenente cellule tumorali circolanti, la possibilità di fare diagnosi precoce per lo sviluppo del tumore al seno, in modo molto mirato e assolutamente poco invasivo.
(da Roberto Insolia - Comunicati-Stampa.net)

giovedì 26 agosto 2010

Cancro allo stomaco e infezione da Helicobacter pylori

Helicobacter pylori è un batterio che può colonizzare la mucosa gastrica dell’uomo causando gastrite, ulcere e in alcuni casi la comparsa del cancro allo stomaco. E’ stato scoperto il meccanismo a seguito del quale H. pylori inattiva una proteina avente la funzione di soppressione della crescita tumorale nelle cellule ospite.

Lo stomaco è una struttura muscolare cava che si localizza fra l’esofago e l’intestino. Ha il compito sia di completare la demolizione dei frammenti di cibo provenienti dalla masticazione che di scindere i legami chimici presenti nelle molecole di cibo, attraverso l'azione di acidi e di enzimi digestivi secreti dalle ghiandole gastriche.
Questa azione degradatrice dello stomaco ha lo scopo di consentire l'assorbimento delle molecole e dei principi nutritivi a livello dell'intestino tenue.

La superficie interna della mucosa gastrica si solleva in grosse pliche che seguono tutta la morfologia interna dell’organo.
Queste pliche permettono sia la dilatazione dell’organo durante i pasti che il fisiologico trasporto dei liquidi lungo la via gastrica principale in direzione dell'intestino.

HELICOBACTER PYLORI
Helicobacter pylori è un batterio spiraliforme, Gram-negativo, che può colonizzare la mucosa gastrica dell’uomo. Più del 50% della popolazione mondiale è portatrice di H. pylori. L’infezione è molto spesso asintomatica ma nel 10-20% dei casi può provocare gastrite e ulcere in particolare a livello del duodeno, il primo tratto dell’intestino.

La gastrite rappresenta un’infiammazione cronica dello stomaco, mentre l’ulcera è una lesione della mucosa, che produce bruciore o dolore intenso, soprattutto a stomaco vuoto. Talvolta l’ulcera può sanguinare ed eventualmente indurre anemia.

A lungo termine, l’infezione da H. pylori si associa ad un aumentato (2-6 volte) rischio di insorgenza di un linfoma MALT, un tumore del tessuto linfoide a livello delle mucose, e soprattutto di sviluppare un carcinoma gastrico.
Il carcinoma gastrico è il secondo cancro più comune nel mondo, in particolare nei paesi quali la Cina o la Colombia dove l’infezione da H. pylori interessa più della metà della popolazione infantile.

Attualmente l’uomo è l’unico serbatoio di infezione noto per questo batterio, le cui modalità più probabili di trasmissione sono quella orale e oro-fecale. Altra possibili via di contagio potrebbe essere quella attraverso il contatto con acque contaminati.

DIAGNOSI E CURA
La procedura di elezione per diagnosticare l’infezione da H. pylori è rappresentata dal prelievo bioptico durante endoscopia digestiva, dall’esame istologico, dal test di idrolisi dell’urea e dalla coltura microbica.
Test meno sensibili sono quelli di tipo sierologico e del respiro.

Una volta individuata la presenza del batterio, si cerca di eradicare l’infezione attraverso l’impiego di una triplice terapia a base di antibiotici e specifici farmaci inibitori della secrezione acida gastrica.

COME SI SVILUPPA IL CANCRO ALLO STOMACO
Sono noti diversi ceppi di H. pylori, alcuni dei quali sono stati completamente sequenziali a livello del loro genoma. Più di 1500 geni sono stati individuati, un terzo dei quali sono considerati alla base dei meccanismi patogenetici di infezione.

La capacità di H. pylori di causare malattia è strettamente legata ad una sua proteina denominata CagA. Questa molecola, altamente virulenta, è infatti in grado di causare infiammazioni locali, stimolando l'anormale crescita e divisione cellulare che può portare poi all’insorgenza del cancro.
Un gruppo di ricercatori ha recentemente caratterizzato il meccanismo specifico di patogenicità mediato dalla proteina CagA. Bersaglio di questa molecola batterica è risultata essere una molecola, sintetizzata nelle cellule gastriche umane, avente fisiologicamente la funzione di soppressione della crescita tumorale.

H. pylori inietta la proteina CagA nelle cellule epiteliali che rivestono lo stomaco. Qui, CagA è in grado di interferire con diversi meccanismi propri delle cellule gastriche, distruggendone alcune importanti funzioni. Tra i targets di CagA vi è RUNX3, una proteina nota essere un importante soppressore del tumore allo stomaco, la cui riduzione è strettamente associata allo sviluppo di questa patologia. La proteina RUNX3 è infatti un fattore di trascrizione, in grado di modulare l’espressione di geni che controllano la crescita e la morte delle cellule.

Per la prima volta è stato identificato un dominio all'interno della sequenza amminoacidica della proteina CagA in grado di legare una regione specifica di RUNX3: a seguito di questa interazione la proteina RUNX3 va incontro a degradazione, con conseguente mancanza del suo ruolo oncosoppressore all’interno della cellula.

Questo studio ha delineato un particolare meccanismo relativo alla genesi del tumore allo stomaco indotto da H. pylori. I ricercatori si propongono nel futuro di sintetizzare nuove molecole in grado di inibire specificatamente l'interazione tra CagA e RUNX3, bloccandone la degradazione e quindi potendo prevenire le gravi complicazioni indotte da H. pylori a livello gastrico.
(da Roberto Insolia - Comunicati-Stampa.net)

giovedì 19 agosto 2010

Il melanoma: 25 anni di strategie per la diagnosi

Da oltre 25 anni le strategie diagnostiche per il melanoma, tumore maligno della pelle che sta diventando sempre più comune nella popolazione, sono in continuo sviluppo, al fine di ottimizzarne i risultati. Diagnosi precoce basata sull’esperienza medica, affiancata ad innovativi approcci digitali, rappresentano la strategia migliore per ridurre la mortalità a causa del melanoma.


Il melanoma è il più aggressivo tumore della pelle, ritenuto fino a pochi anni addietro una neoplasia piuttosto rara ma che ora sta mostrando una costante crescita nei casi identificati ogni anno. Negli Stati Uniti infatti il melanoma presenta un tasso di crescita più elevato di qualunque altro tumore.
Il melanoma colpisce prevalentemente soggetti di età compresa tra i 30 ed i 60 anni, risultando decisamente più frequente nei soggetti di origine europea, con pelle più chiara.

Il melanoma è un tumore maligno che si origina dai melanociti, specifiche cellule della cute deputate alla sintesi di melanina, sostanza che esercita una funzione protettiva dai raggi solari.

RECENTI SCOPERTE
Recentemente sono stati presentati i risultati di uno studio che dimostrano l’efficacia di un anticorpo monoclonale (ipilimumab) nell’attivare il sistema immunitario contro il melanoma. Questo può portare ad un significativo miglioramento nella sopravvivenza dei pazienti in fase avanzata di malattia.

Inoltre, un gruppo di ricercatori californiani è riuscito ad identificare per la prima volta una ristretta ma altamente specifica popolazione di cellule indifferenziate, di tipo staminale, responsabile dello sviluppo del melanoma.

STRATEGIE PER UNA DIAGNOSI PRECOCE
La prognosi del melanoma cutaneo, cioè la velocità di accrescimento della massa tumorale, è strettamente legata allo spessore che esso ha raggiunto nella pelle, al momento della diagnosi e della successiva asportazione. Negli Stati Uniti il melanoma allo stadio invasivo rappresenta il quinto e sesto tipo di tumore più frequentemente diagnosticato rispettivamente nell’uomo e nella donna.

Fare diagnosi precoce per questo tumore significa riuscire ad individuare delle crescite tumorali, a livello della cute, anche con uno spessore inferiore al millimetro. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di melanoma invasivo è aumentata dall’83% dei casi diagnosticati negli anni settanta fino al 93% dei casi identificati agli inizi del 2000.
Dal momento che l’approccio terapeutico primario per la cura del melanoma, cioè la sua rimozione chirurgica, non è sostanzialmente cambiato dal punto di vista tecnico, si ritiene che l’incremento nella sopravvivenza a 5 anni sia dovuto essenzialmente ad una più precoce diagnosi della malattia.

Diagnosi precoce e precisa, con un rapido trattamento chirurgico sono considerati i punti cardine per il successo nella cura del melanoma, come emerge dalla revisione degli approcci diagnostici per questo tumore che verrà pubblicata sulla rivista CA: A Cancer Journal for Clinicians.

Sebbene l’esame istologico, a seguito di biopsia cutanea, rappresenti la tecnica diagnostica più affidabile, fin dall’inizio si è cercato di sviluppare delle strategie non invasive, essendo questo uno dei pochi tumori che si sviluppa al di fuori dell’organismo.
Prima degli anni ottanta, la diagnosi di melanoma si basava sul riscontro macroscopico, e solitamente piuttosto infausto in termini di prognosi, di un sanguinamento della lesione cutanea.
Nel 1985, con l’intento di fare diagnosi più precoce, sono stati dettagliati dei precisi criteri morfologici, denominati con l’acronimo ABCD: Asimmetria; Bordi irregolari; Colore variabile; Diametro >6 mm.
La validità dei criteri ABCD è stata poi testata con successo in programmi di screening a livello della popolazione generale.

Negli anni novanta, la dermoscopia è stata applicata nella pratica diagnostica comune. Questa tecnica, attraverso l’impiego di un complesso di lenti che vengono avvicinate alla pelle, consente degli ingrandimenti fino a 10 volte, arrivando quindi ad analizzare strutture anatomiche al di sotto dell’epidermide fino alle papille del derma.
Nell’ultimo decennio, l’approccio digitale ha implementato la diagnosi dermoscopica nella pratica clinica. Attraverso l’impiego di specifici software di analisi d’immagine, la dermoscopia è stata informatizzata, permettendo anche la comparazione fra immagini diverse di lesioni cutanee, precedentemente depositate in apposite banche dati.
Vi sono inoltre alcuni studi in merito a specifici marcatori molecolari (espressione di RNA messaggeri) la cui presenza o assenza consente di discriminare fra lesioni cutanee benigne e melanomi.

Complessivamente, l’evoluzione tecnico-scientifica negli ultimi 25 anni ha portato ad un aumento nella sensibilità e nella specificità della diagnosi del melanoma. È comunque fondamentale che qualunque strumento tecnico diagnostico sia affiancato dalla conoscenza e dalla esperienza clinica, propria del medico dermatologo, al fine di ottimizzare la diagnosi precoce del melanoma.
(da Roberto Insolia - Comunicati-Stampa.net)

giovedì 12 agosto 2010

Vacanze

Serene vacanze a tutti noi, appassionati della Scienza e della Vita.